Prestazioni temporanee e prestazioni vitalizie




La differenziazione tra i tempi e anch’essa essenziale. Cominciamo dal bisogno, che può essere attivo per sempre o solo per un certo pe­riodo. E temporaneo, per esempio, il bisogno di garantire ai propri figli un reddito in caso di premorienza. A una certa età, infatti, si suppone che divengano economicamente autonomi. E invece vitali­zio il bisogno di integrazione pensionistica. C’e, infatti, bisogno di spendere soldi per mangiare, vestirsi, muoversi, telefonare ecc. fino a che si è in vita.

I tempi della prestazione sono legati a quelli del bisogno, ma non si sovrappongono. La prestazione, infatti, definisce il tempo del pa­gamento e si attiene al tempo del bisogno. Per semplificare, le pre­stazioni possono servire:

  • subito, al verificarsi del rischio, in qualunque momento. E’ il caso delle prestazioni per danni patrimoniali o di quelle legate alla premorienza del capofamiglia, che deve essere subito supportata da redditi sostitutivi;
  • a un tempo dato, predefinibile a priori (per esempio, da quando vado in pensione o quando mio figlio si diploma).

A tal fine, le compagnie distinguono le prestazioni in tempora­nee e vitalizie (punto di vista dei bisogni) e l’erogazione in immedia­ta e differita.

Le domande relative alle prestazioni sono cruciali per un buon uso delle assicurazioni. Infatti, una scarsa consapevolezza sul tem­po può portare all’assenza di risorse perchè il denaro assicurato sarà disponibile in un tempo futuro.

Nell’assicura­zione vita sono ancora diffusi contratti di natura cosiddetta “mista”, la cui prestazione consiste in un capitale erogato dalla compagnia sia in caso di vita sia in quello di morte. In caso di vita, il capitale viene senza dubbio pagato al termine del contratto e non c’è molto da ag­giungere. In caso di morte, invece, ci sono due tipi di “miste”, con profonde differenze. Una prima forma, definita “mista immediata”, prevede il pagamento del capitale subito e dunque assolve a funzioni di rimpiazzo dei redditi necessari ai consumi quotidiani.

Una secon­da forma, definita “mista a termine fisso“, prevede invece il paga­mento della prestazione soltanto al termine del contratto, anche in caso di morte anticipata. Il motivo è connesso alla nascita di questa forma di assicurazione, legata al bisogno di garantire alle proprie fi­glie una dote. Poi la forma assicurativa si è mossa in parallelo con i mutamenti della società, e la forma “termine fisso” è stata adoperata come base per i prodotti assicurativi finalizzati a garantire ai propri figli denaro sufficiente per gli studi universitari. Sia la dote che l’uni­versita sono collocabili nel futuro e, quindi, un padre o una madre sceglievano quei prodotti proprio per vincolare in qualche modo il ca­pitale al momento del bisogno ed evitare che fosse speso prima.

L’andamento della prestazione

L‘andamento, o lo sviluppo, di una prestazione e la modalità con la quale, nel corso del tempo, essa si rivaluta. Questo nelle due fasi della costruzione e dell’erogazione.

La fase di costruzione è quella che precede l’utilizzo e si riferisce a prestazioni future. Qui il tema è: come crescono i soldi versati per il futuro? Come vengono investiti? Dove? Ci sono garanzie di rendi­mento o sono sottoposti a rischi di mercato?

La risposta tecnica è duplice: ci sono investimenti connessi al mer­cato, il cui valore varia conseguentemente al suo andamento, e altri molto più prudenti, che garantiscono un rendimento minimo, che però nel lungo termine inibiscono le possibilità di adeguate remune‑razioni. In pratica, le prestazioni connesse al denaro investito, prima della sua effettiva erogazione, possono svilupparsi in due modi:

  • con garanzie finanziarie
  • senza garanzie finanziarie

La scelta di una o dell’altra forma, qualora possibile, dovrebbe essere governata dal tempo e dall’orientamento soggettivo al rischio.

Certo, per valutare un rischio finanziario ci vorrebbero simulatori, ossia strumenti capaci di rendere visibile l’impatto di uno o dell’altro possibile scenario. In ogni caso, l’obiettivo minimo nelle rivalutazio­ni delle prestazioni dovrebbe essere quello di mantenere almeno il potere d’acquisto delle somme investite.




La forma con la quale tale obiettivo si persegue è detta “rivalutabi­le”. In essa, si tende a fornire garanzie capaci di non far perdere va­lore al denaro nel corso del tempo. Non tutte le forme di rivalutazio­ne della prestazione offrono tale possibilità. E’ dunque bene accertar­si delle forme di sviluppo delle proprie assicurazioni e privilegiare quelle che sono capaci di confrontarsi con l’inflazione, quanto meno in termini di risultati attesi.

Se possibile, inoltre, è bene privilegiare forme di costruzione fi­nanziaria che utilizzino al meglio il tempo e il rischio. Come infatti accennato, evitare il rischio di oscillazione significa, con elevatissi­ma probabilità, mortificare le attese di prestazione finale.

Lo sviluppo della prestazione assicurativa

Veniamo però ora alla prestazione, e al suo sviluppo, in assenza della componente di investimento. Ci riferiamo, a titolo di esempio, alle assicurazioni per il caso di morte prive della componente di in­vestimento, nelle quali i soldi versati sono commisurati al solo ri­schio demografico e patrimoniale, senza alcuna componente di creazione di capitale finanziario.

In questi casi, la prestazione stabilita all’inizio raramente si riva­luta, venendo a mancare il motore della rivalutazione, ossia rinvesti­mento. Si hanno, di conseguenza, prestazioni che rimangono co-stand nel tempo. La costanza, tuttavia, si riferisce al valore nominale e non al potere d’acquisto. Per il consumatore, è costante ciò che consente di riempire il carrello della spesa ogni mese con lo stesso numero e valore di merci, non ciò che rappresenta il valore delle banconote. Una prestazione costante, di conseguenza, perde di valore ogni anno.

Anche questo non è un problema teorico, al contrario è assai pra­tico. Basta pensare, per esempio, a un reddito che serve per i consu­mi familiari dopo la morte del capofamiglia e che ogni anno perde valore. O, ancora più preoccupante, a un reddito pensionistico che perde anno dopo anno la sua capacità di contribuire al sostentamen­to del pensionato.

Volendo concludere il ragionamento, l’andamento delle presta­zioni è un ingrediente rilevante e andrebbe compreso. In sintesi, le prestazioni possono essere:

  • variabili, connesse all’andamento dei mercati;
  • rivalutabili, con garanzie di rendimento;
  • costanti, ossia fisse in valore nominale;
  • indicizzate, capaci cioè di adeguarsi al mutamento di un indice;
  • decrescenti, ossia con una diminuzione programmata di valore nel corso del tempo.

Le prestazioni decrescenti si abbinano bene a mutui e debiti, perchè il capitale da rimborsare diminuisce per effetto del pagamento delle rate via via che il tempo passa. Normalmente, il capitale assicu­rato decresce di 1/n. laddove n. e la durata complessiva della copertura.

Le prestazioni che servono per i consumi dovrebbero invece cre­scere in conformità con l’inflazione, perchè quel che si chiede loro è proprio la costanza dei consumi. Paradossalmente, tuttavia, le presta­zioni ancorate all’inflazione sono quasi assenti sul mercato della pre­videnza privata. Predominano invece le forme di rivalutazione defini­te a gestione separata nelle quali le compagnie retrocedono all’assicu­rato una parte del rendimento conseguito sui mercati dei titoli di Sta­to. Il procedimento consente di solito il mantenimento del potere d’acquisto, ma è viziato da formule e modalità di calcolo (tassi tecni­ci, rendimenti retrocessi…) inaccessibili ai comuni consumatori.

In ogni caso, è bene verificare che la prestazione nel tempo non si riveli inadeguata, in un verso o in un altro (per esempio, una prestazione sovradimensionata rispetto a un mutuo che si estingue).